Finalità di questo Blog

Lo scopo di questo Blog "150° Unità d'Italia" è quello di raccogliere tutte le informazioni relative all'evento, e denunciare il tentativo di strumentalizzare la Storia ai fini anti italiani, così come denunciare l'impegno Istituzionale nel far passare questo importante traguardo il più inosservato possibile.

giovedì 28 ottobre 2010

Il paradosso di un Paese diviso sull’Unità

Il paradosso di un Paese diviso sull’Unità che lo ha fatto grande

di E. Galli della Loggia
6 ottobre 2010

Le attuali celebrazioni dell’anniversario dell’Unità stanno confermando un carattere particolare e se si vuole bizzarro della nostra vita pubblica: tra i grandi Paesi europei siamo il solo la cui esistenza come Stato ha dato luogo tra i suoi stessi cittadini a forti, spesso radicali, dissensi interni. Che di fatto durano ancora oggi: praticamente su tutto, sui modi della nascita dello Stato stesso (assenza di una vera partecipazione popolare, assenza dei cattolici, «annessionismo» piemontese, eccetera), sull’inadeguatezza militare mostrata e dunque sulla dipendenza dall’aiuto straniero, sulla forma dello Stato (monarchia o repubblica, accentramento o federalismo).
Questo paradossale carattere divisivo dell’Unità italiana si è venuto rapidamente calando in quella che è diventata la divisione principe della nostra storia contemporanea: la divisione Nord e Sud. Che oggi, non a caso, è quella che più anima e spesso esaspera la discussione sull’Unità: con al Nord una Lega che agita a scadenza fissa la bandiera della secessione, mentre al Sud diventano sempre più numerosi coloro che si propongono d’imitarla, dando vita ad un partito del Sud e accontentandosi per il momento di riconoscersi in un libro colmo di invenzioni strampalate e di fole come Terroni.
Come si spiega il paradosso di cui sto dicendo? Credo con due ragioni: la prima è che la lotta per la nascita dell’Italia corrispose, in una misura che abbiamo dimenticato, anche ad una guerra intestina tra italiani (che non ha certo ben disposto i perdenti). E in secondo luogo con il fatto che tutte le culture politiche dell’Italia del Novecento (da quella dei cattolici a quella del fascismo e del comunismo gramsciano) si sono costruite a partire da una critica più o meno radicale al Risorgimento. Cioè al modo, per l’appunto, in cui l’Italia è nata.
Eppure bisogna avere il coraggio di dirlo: la storia dell’Italia, dello Stato nazionale italiano, è stata senza alcun dubbio una storia di successo. Certo, il merito lo ha avuto anche quella cosa che ha riguardato tutti i Paesi e che si chiama il progresso. Ma se negli ultimi 150 anni gli italiani, tutti gli italiani, hanno mangiato, abitato, vissuto incomparabilmente meglio dei loro antenati, se hanno avuto la possibilità di curarsi, di istruirsi, di leggere un libro, di assistere ad uno spettacolo, di conoscere il mondo, in una misura anche 50 anni fa inimmaginabile, lo devono perlopiù solo all’esistenza di quella gracile creatura nata nel lontano 1861. La quale, venuta alla luce da una incredibile avventura grazie specialmente alla politica, sempre grazie a questa, attraverso i diversi regimi, è riuscita a mobilitare le risorse necessarie per raggiungere i traguardi appena detti.
L’iniziativa del «Corriere» vuole servire soprattutto a questo: a ricordarcelo. Vuole servire a renderci consapevoli, attraverso una panoramica sulle dimensioni cruciali della nostra vita collettiva, che l’Italia unita ha rappresentato lo strumento decisivo per la nostra emancipazione culturale, civile ed umana. L’Italia, lo Stato italiano, di cui tutti pure conosciamo i mille difetti, le mille inadempienze, le mille miserie ma che alla fine è il solo paese che abbiamo: il nostro Paese. Perché buttarlo?

Tratto da : "Il Corriere della Sera" - mercoledì 6 ottobre 2010

martedì 26 ottobre 2010

Italia 2011, polvere di patria

Italia 2011, polvere di patria

di Walter Barberis
03 ottobre 2010

Lo spirito nazionalistico del 1911 e l'ottimismo del 1961 sono scomparsi. Più che alla celebrazione, i 150 anni dell'Unità invitano alla riflessione.A sei anni dalla prima edizione torna in libreria il saggio di Walter Barberis Il bisogno di patria (Einaudi, pp. 141, e10). Anticipiamo uno stralcio della nuova introduzione.

I prossimi mesi saranno verosimilmente testimoni di una ricorrenza di parole orientate a ricordare l'anniversario dei 150 anni dell'unità d'Italia. Fra queste parole, patria, come sinonimo di comunità nazionale, magari con qualche scivolamento verso un nuovo concetto di cittadinanza, potrebbe riprendersi un certo spazio nel discorso pubblico.

È ovvio che le celebrazioni comportino il rischio di un uso retorico della lingua; ed è più che probabile che significati ormai desueti di un termine come patria possano cumularsi insieme a una più aggiornata connotazione di senso. Certo è che il 2011 non potrà ripetere intonazione e contenuti dei discorsi celebrativi diffusi nel 1911 o in occasione del centenario del 1961.

Semplicemente, la nostra epoca non è in sintonia né con gli ardori dello spirito nazionalistico e dinastico che segnò gli anni che precedettero la Prima Guerra mondiale, né con l'ottimismo degli anni del boom economico e della trasformazione degli italiani in fiduciosi neofiti di una società dei consumi. Anzi, i nostri sono tempi in cui pare serpeggiare un accentuato disincanto nei riguardi di un discorso pubblico che faccia leva su sentimenti di appartenenza a una comunità nazionale.
Questo esplicito scetticismo riverbera, semmai, la tendenza a rivalutare quelle dimensioni e tradizioni locali che a non pochi padri della patria erano parsi i limiti di una compiuta unità istituzionale. La cinta municipale e l'ombra corta del campanile sempre più di frequente tornano a definire l'area degli sguardi individuali e il raggio d'azione di interessi particolari e privati; è logica conseguenza che ne soffra quella visuale di più lunga gittata, cioè nazionale e sovrannazionale, che pareva fino a pochi anni or sono una acquisizione scontata.

D'altra parte, ogni epoca interroga il passato con la richiesta di una risposta utile al presente, o in ogni caso consonante con lo spirito del tempo. E oggi corre il tempo in cui conciliazione, condivisione e concertazione sono termini d'uso corrente, a significare soprattutto che, a partire dai principali attori politici ed economici fino ai corpi sociali più periferici, gli elementi di divisione e di discordia sono spesso prevalenti su quelli connettivi ed inclusivi. Dunque, è assai probabile che il richiamo alla data fatidica del 1861 non infiammi i sentimenti dei più; e che allora, auspicabilmente, si presti almeno ai toni della riflessione se non a quelli della celebrazione.

Non è un mistero, peraltro, che il corso di questi 150 anni di esperienza unitaria sia stato ricco di acquisizioni, ma anche segnato da fenomeni antichi e recenti che non hanno veramente cooperato alla formazione di una coscienza pubblica e nazionale. Fin dagli anni cruciali che hanno inaugurato l'unità, lo Stato italiano ha dovuto fronteggiare qualcosa di più forte di una semplice controversia sulla forma di governo. Del disagio a sottostare a una nuova istituzione centrale sono state sintomatiche ed esemplari le insorgenze nel Mezzogiorno, parte aurorale di una «questione meridionale» che ha attraversato tutto il Novecento come una formula rituale.

Per altri versi, la grande industria, quella che aveva portato l'Italia fra le prime cinque potenze del mondo, si è gradualmente dissolta; e con essa è scomparsa la grande fabbrica fordista, il luogo imponente che aveva affiancato nel lavoro milioni di persone, convenute dai quattro angoli della Penisola in quel Nord che aveva fisicamente e culturalmente contribuito alla integrazione di italiani diversi. Ora, le mille piccole e medie imprese, che sono la base virtuosa e l'ossatura forte della nostra economia, sono anche la manifestazione di un capitalismo pulviscolare che non agisce più come decisivo fattore aggregante.

Come nuovi pionieri, i produttori delineano traiettorie individuali, tratteggiano la mappa di interessi puntiformi, costituiscono i nodi di una rete estesa, dinamica, ma non inclusiva. In questa rete, oggi, rimangono impigliati i più fortunati fra coloro che vengono in Italia a cercare strade nuove. E sono proprio questi nuovi soggetti a ricordarci che la storia italiana è stata anche storia di migranti: quei 29 milioni di uomini e donne, che hanno lasciato città e paesi del Nord e del Sud in poco meno di un secolo, spesso riscoprendo la loro italianità giusto al momento di integrarsi in una comunità d'origine in terra straniera. Sono loro, le loro memorie e le loro storie di vita a cui forse dovremmo guardare oggi, ripensando alle modalità di accoglienza dei nuovi immigrati e alle nuove frontiere di una adeguata, comune cittadinanza. Su questo difficile terreno, spesso, è parsa camminare più speditamente la Chiesa. Ma a sua volta, la Chiesa, il soggetto più radicato nel tessuto plurisecolare della storia italiana, è tornata ad essere fonte o occasione di ulteriori contrasti.

Non a caso, tuttavia, questa che viene avvertita come una esorbitanza dai confini della propria sfera di azione da parte della Chiesa è l'occupazione di spazio che fino a non molto tempo fa era quello della politica: lo spazio dei partiti, vituperati senza superarne lo spirito di fazione, sostituiti da nuove formule organizzative ed elettorali, e già rimpianti. In effetti, sciolti in generiche correnti di opinione, nebulose e dagli incerti riferimenti morali, quei partiti hanno lasciata ineguagliata la capacità di riferirsi a tradizioni e insieme a prospettive di futuro. Quello spazio pubblico e aperto, quella piazza, spesso fisica, con il suo selciato e le sue quinte architettoniche, era il luogo del confronto pubblico, e naturalmente dello scontro: ma lì gli italiani, divisi dalle opinioni e dalle scelte di campo, erano però uniti da analoghe pratiche di partecipazione e da un comune interesse per la cosa pubblica, dalla stessa voglia di un domani, per quanto orientato a soluzioni diverse. Quello spazio politico è stato un luogo di avvicinamento, dove le passioni si sono lambite favorendo l'incontro e il confronto fra le persone.

In una Italia toccata in profondità dalla sua inclinazione a frammentarsi, a dividersi in fazioni fino a polverizzarsi, la dissoluzione di quello spazio ha lasciato dietro di sé l'indifferenza dei più, la privatezza delle prospettive, l'operatività apparente e virtuale della piazza televisiva. È un dato di fatto che negli ultimi anni, i lampi di una coscienza nazionale, il senso di appartenenza a una comunità, siano apparsi raramente, in occasione di una importante manifestazione sportiva o nella contingenza di qualche avvenimento luttuoso. Lasciando la parola «patria», non senza vaghezza, a echeggiare distratte forme di solidarietà alle nostre forze armate, impegnate su fronti di guerra in inedite missioni umanitarie e di peacekeeping.

Come figli di una famiglia senza armonia e senza memorie, gli italiani si sono spesso cresciuti da soli, superando la solitudine con cinismo, con opportunismo, con diffidenza, talvolta con esibizionismo. Ignorando le ragioni e l'utilità di una salvaguardia dell'interesse generale. È così che l'idea di patria si è di volta in volta caricata di significati che invece di tendere all'unità hanno accentuato visioni faziose, volte all'esclusione. Oppure è stata un'idea semplicemente rifiutata, rimpiazzata da snobistici atteggiamenti di eccentricità, di distanza dai comportamenti di altri popoli e di altri Paesi. Come se la mancanza di un'idea di comune appartenenza fosse un sicuro vantaggio, di per sé un requisito di modernità. Come se non contassero antiche comunanze di lingua, di religione, di arti, di letterature, di industrie; oppure, come se evadere il fisco, sottrarsi ai doveri civici, vivere di raggiri della norma e dei codici fossero altrettante prove di avanzamento civile.

Tratto da : www.lastampa.it/

sabato 2 ottobre 2010

Facciamo sentire la nostra voce !!!

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 LA NOSTRA VOCE IN DISSENSO


INDICE

Monarchia ed Unità
Articolo di Emilio Faldella dalle pagine di
“Critica Monarchica” diretto allora dal Dr. Ing. Domenico Giglio.
Dicembre 1961

Articolo dell’Avv. Roberto Vittucci Righini
Novembre 2009

Esami di Storia
dal Direttore della Biblioteca storica di Pietramelara "Regina Margherita" - Prof. Giuseppe Polito
30 marzo 2010

Dissenso di Alberto Conterio
Aprile 2010

Noi Leghisti i veri Eredi dei Mille
Osservazioni di Alberto Conterio
Maggio 2010
Precisazioni di Alberto Conterio
Ottobre 2010

Un pò di buonsenso per il Risorgimento
dall'Istituto della Real Casa di Savoia
18 Ottobre 2010

Per la verità storica sul Risorgimento
dal Direttore della Biblioteca storica di Pietramelara "Regina Margherita" - Prof. Giuseppe Polito
19 ottobre 2010

"1861" Senza dimenticare Re Vittorio Emanuele II
Tricolore Agenzia Stampa No. 5239 - 27 Ottobre 2010

La sicilia ed il Mezzogiorno erano aree sottosviluppate
di Pasquale Hamel - 27 Ottobre 2010

Un altro saggio sconfessato dalla Realtà
dall'Istituto della Real Casa di Savoia
31 Ottobre 2010

Un esempio da seguire ed uno da fuggire !
Lettera aperta di Alberto Conterio
2 Novembre 2010

La cultura anti-unitaria degli italiani
Tratto da : lsdmagazine.com
7 Dicembre 2010

Alla repubblica serve una Legge per sentirsi italiana
Articolo di Alberto Conterio su Opinioni Monarchiche
13 Gennaio 2011

La decadenza della repubblica
Articolo di Monarchico.blogspot.com
22 Gennaio 2011

Epilogo al programma per il 150° della proclamazione del Regno d'Italia
Articolo di Alberto Conterio su Opinioni Monarchiche
24 Gennaio 2011

Presentare le armate risorgimentali come fa il regista Martone è ridicolo e offensivo.
Articolo di Aldo Cazzullo, pubblicato a pagina 17 del settimanale "Sette",
inserto del Corriere della Sera (n° 4 del 27 gennaio 2011).

di Sergio Romano
Dal “Corriere della Sera” La lettera del giorno
30 gennaio 2011

Questa volta ci si diverte !
La cicala salterina
9 febbraio 2011

Lettera a "Il Biellese" - Ebrei e Risorgimento
Alberto Conterio
4 maggio 2011

Lettera a "Il Biellese" - Milano 1898
Alberto Conterio
9 maggio 2011

Smascherata la posizione di falsa revisione storica di Angela Pellicciari.
Avv. Massimo Mallucci
8 ottobre 2011

Risorgimento alla rovescia


Chiedo alla Redazione de “Il Biellese” la gentilezza di poter fare alcune precisazioni di carattere storico, alla lettera del Sig. Costante Giacobbe, apparsa martedì 28 settembre, in cui con una serie di fantasie e di banalissimi luoghi comuni, si pretende di contestare il Risorgimento.
E’ chiaro che in una Paese come il nostro, agitato da una politica che fa teatro, ed un teatro che pretende di dettare la politica, le falsità possano sembrare verità, ma la storia per fortuna risponde ancora alla semplice regola dei documenti e dei fatti.


In quest’ottica, mi preme ricordare non solo al gentile Sig. Costante Giacobbe, ma a tutti i lettori di questo giornale, che il brigantaggio nel sud Italia, non è nato all’alba dell’Unità come si vuol far credere in opposizione ai cattivi Piemontesi conquistatori, ma era già ben radicato in quelle province tanto da far parlare gli studiosi in merito, di “fattore endemico del sud”. Per ragioni di spazio non citerò testi ed autorevoli autori a difesa di ciò. È sufficiente infatti, leggere gli ultimi articoli apparsi su “Il Corriere della Sera” il 29.08.2010 a firma Giuseppe Galasso e sul “Il Sole 24 Ore” di inizio settembre a firma Alberto Casirati, per capire che il brigantaggio, era già presente a fine ‘700 prima ancora della calata rivoluzionaria francese nella penisola. Queste bande organizzate, servivano i baroni ed i grossi latifondisti locali per fruttare il popolo nella paura. Murat, Re di Napoli grazie alle baionette napoleoniche, dovette combattere il brigantaggio quando questo si rifece il trucco e divenne legittimista per comodo, per tornare ad essere quello che era sempre stato al ritorno sul trono dei legittimi Borbone. Tanto è vero, che i Borbone tra gli anni 1820 e 1848, scatenarono una vera guerra interna nel tentativo di debellarlo.
Per quanto riguarda la florida economia del meridione pre-unitario, possiamo consultare per brevità, Montanelli nella sua “Storia d’Italia”. Le industrie, ad esempio, erano attive in buona parte, grazie a dazi che potevano arrivare anche al 100%. Questo fece si che quando il meridione venne unito al resto d'Italia, le “famose” industrie del sud, si trovarono senza protezionismo e fuori mercato perché non competitive e incapaci di esserlo per cattive abitudini clientelari.
Passando ai primati tecnologici, si ricorda sempre la ferrovia Napoli Portici. Inaugurata nel 1839, la prima in Italia. 20 anni dopo però, la Napoli portici era sempre… la Napoli Portici, mentre in Piemonte i chilometri di ferrovia erano oltre 900, 500 in Lombardia e addirittura 250 nella rurale Toscana. Se è vero che la flotta mercantile napoletana era annoverata tra le più numerose del mondo, dovremmo chiederci a cosa servissero tutte quelle navi, se la mole dei traffici commerciali con l’estero, era nettamente inferiore a quello fatto registrare dalla piccola flotta mercantile Sarda. La risposta ancora una volta, viene dai documenti di carico e dai diari di bordo nei bastimenti. In un Reame dove non esistevano (quasi) le strade interne, le navi venivano impiegate soprattutto per il collegamento tra le principali città navigando sotto costa !
Ma le casse del Piemonte erano vuote, e quelle Borboniche stracolme di denaro, amano urlare gli amici neo-borbonici ! Bella scoperta, in Piemonte il denaro servì a finanziare la costruzione di infrastrutture e scuole e a pagare i debiti contratti nelle campagne militari o in riparazione di guerra per l’unificazione. Vale la pena di ricordare opere quale il Canale Cavour, o l’inizio dei lavori al traforo del Frejus nel 1857. Tutte opere costose al tempo quanto utili ancor oggi, mentre al sud, si depositava il denaro nei forzieri, senza ricadute e benefici sociali.


(la lettera del Sig. Costanzo Giacobbe del 28 settembre 2010)

Concludendo, e cercando di uscire da questa dannosa retorica, del pro e contro, quali sono i benefici pratici portati in dote al sud, dall’Unità d’Italia ?
Giustino Fortunato, meridionale e meridionalista scrisse : “Eravamo ancora, nel 1860, sul limitare del medio evo, quando, di botto, fummo cacciati nell'età moderna; o meglio, le due età s'incontrarono a un tratto, si mescolarono, si confusero nel modo più singolare e per via de' più stridenti contrasti. Nessun paese, per ciò, è più arretrato del nostro nel sentimento della libertà.”
Ecco, …lo Stato unitario portò in dote con lo Statuto Albertino un sistema democratico, da perfezionare certo, ma finalmente palpabile, base di ogni sviluppo e società moderna . Al tempo ciò, non doveva essere poca cosa se centinaia di patrioti meridionali erano stati pronti per esso a sfidare la forca. Troppo poco ? Allora citiamo Giuliano Amato, ex Presidente del Consiglio, che in un esemplare articolo sempre su “Il Sole 24 Ore” di agosto di quest’anno, per zittire una serie di variopinti articoli contro l’Unità del nostro Paese, firmati da “grossi nomi” del giornalismo italiano, ha voluto ricordare che grazie alla legge Casati, del febbraio 1860, e subito estesa alle province meridionali riunite alcuni mesi dopo, fu possibile la scolarizzazione di massa della popolazione e l’inizio dell’emancipazione femminile. Con questa Legge infatti, si creò la figura della Maestra, prima professione in Italia capace di portare le donne nel mondo del lavoro, e con essa si diede l’avvio alla scolarizzazione effettiva delle aree rurali, ma soprattutto, delle bambine, strappandole dalla loro secolare miseria, schiavitù e sottomissione.
Se questi argomenti oggi, …a pancia piena e a mente annebbiata dal caos che viviamo, possono sembrare piccole cose, è sufficiente rifletterci un istante con serenità, perché acquisiscano l’importanza di una rivoluzione epocale. Senza l’Unità d’Italia ciò non sarebbe stato possibile.

Bene ha fatto quindi il Sindaco di Marsala a ricordare nel 150° anniversario dello sbarco dei Mille, la “Storia”, non per dovere istituzionale, alla quale alcuni Sindaci del nord hanno già pensato di sottrarsi per opportunismo o ignoranza, ma per la consapevole gratitudine a quel preciso momento storico, che segnò per la Sicilia e per noi tutti il passaggio ad una nuova era !

Alberto Conterio
Commissario per il Piemonte di
Alleanza Monarchica - Stella e Corona