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Lo scopo di questo Blog "150° Unità d'Italia" è quello di raccogliere tutte le informazioni relative all'evento, e denunciare il tentativo di strumentalizzare la Storia ai fini anti italiani, così come denunciare l'impegno Istituzionale nel far passare questo importante traguardo il più inosservato possibile.

giovedì 3 febbraio 2011

“Noi credevamo”, i gianduja di Martone

“Noi credevamo”, i gianduja di Martone
Presentare le armate risorgimentali come fa il regista Martone è ridicolo e offensivo.

Articolo di Aldo Cazzullo, pubblicato a pagina 17 del settimanale "Sette",
inserto del Corriere della Sera (n° 4 del 27 gennaio 2011).

La fiaccola accesa nell'antica Torino un secolo fa guida la lotta degli uomini dovunque: in Italia, negli Stati Uniti in tutto il mondo”, disse John Fitzgerald Kennedy nel marzo del 1961. L'America riconosceva che cent'anni prima l'Italia era ritornata tra le nazioni, rientrando nella storia e affermando valori universali: i diritti civili, la fine della monarchia assoluta, dei ghetti, del foro ecclesiastico, delle servitù feudali. Ma nei libri usciti per i 150 anni non c'è traccia di questo. Sono tutti “anti” e “contro”, parlano di “traditori” e di “lati oscuri”, esaltano Radetzky e i Borboni, gli austriaci e i briganti. Di film invece ne è uscito uno solo, Noi credevamo. 


Decisamente anti-risorgimentale, non da destra come i neoborbonici ma da sinistra; contro l'unificazione vera, reale, storica, in nome delle utopie tradite. Il film è noiosetto, come tutti quelli di Martone. Bella è la ricostruzione di alcune scene, che ricordano i quadri di Hayez. Ma il regista sceglie con cura i tre episodi più infelici del Risorgimento. La spedizione mazziniana in Savoia – contro l'unico Stato italiano dotato di un esercito – che non poteva riuscire e infatti non riuscì; per fortuna, altrimenti l'Italia non sarebbe mai nata. L'attentato di Orsini contro Napoleone III, che si era già impegnato a fare la guerra agli austriaci: altra “impresa” per buona sorte fallita, di cui peraltro il film omette l'unico raggio di speranza, la lettera in cui Orsini accetta la ghigliottina ma richiama l'imperatore ai suoi doveri morali verso l'Italia. Infine, l'Aspromonte, il fatto più triste, esercito italiano contro i garibaldini, sullo sfondo di un Sud insanguinato. Non è in discussione la libertà artistica. Non si pretendono celebrazioni. Ma presentare le armate risorgimentali, e in particolare i piemontesi, alla maniera caricaturale di Martone, è ridicolo prima che offensivo per la memoria di chi ci diede una patria. I bersaglieri sembrano tanti gianduja, parlano in dialetto torinese, ora sono sciocchi ora crudeli, ed entrano in scena esattamente con la stessa espressione – che non ho mai sentito pronunziare in 44 anni se non da Macario – con cui i Vanzina introducono i torinesi nel loro Vacanze in America . “Boja fauss!”. E dire che Martone conosce Torino, di cui dirige da anni il teatro stabile. Piemontesi, continuiamo così: facciamoci del male.

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