Finalità di questo Blog

Lo scopo di questo Blog "150° Unità d'Italia" è quello di raccogliere tutte le informazioni relative all'evento, e denunciare il tentativo di strumentalizzare la Storia ai fini anti italiani, così come denunciare l'impegno Istituzionale nel far passare questo importante traguardo il più inosservato possibile.

sabato 5 marzo 2011

Intervista al Principe Vittorio Emanuele

“I valori risorgimentali alla base dello Stato”

Intervista al Principe Vittorio Emanuele
a cura di Vettor Maria Corsetti

È il simbolo di una storia comune che parte del Paese non conosce più o vorrebbe addirittura
cancellare: per distrazione, per calcolo politico o per portare indietro le lancette
dell’orologio e tornare a una Italia delle piccole patrie più indifesa e
manipolabile dai potentati internazionali. Vittorio Emanuele di Savoia è il grande escluso dalle
manifestazioni ufficiali per il 150°. E con lui la sua Casa, che per il compimento dell’unità
nazionale si è spesa in prima persona e senza la quale lo stesso Risorgimento sarebbe stato
impensabile. Salvo per quanti, ai giorni nostri, quei fatti li interpretano e si ostinano a riproporli
solo in un’ottica repubblicana, intesa come una nuova forma di pensiero unico.
Alla vigilia della festa del 17 marzo, abbiamo chiesto al principe il suo parere sulla ricorrenza
e sul suo significato più profondo, sposando queste riflessioni con altre sullo stato generale
del Paese.


Altezza reale, per preparazione, contenuti e diversità di vedute sull’opportunità di viverle come una grande festa nazionale, le celebrazioni del 150° anniversario della proclamazione dello Stato unitario sembrano animate da uno spirito assai lontano da quelle del centenario. A mancare è non solo la condivisione di valori, ma anche la percezione del significato più profondo della ricorrenza, a cominciare da certi rami delle istituzioni. Qual è il suo pensiero in proposito?

“L’Italia d’oggi vive una profonda crisi politica e istituzionale che si riflette, o che riflette, un’altrettanto profonda e pericolosa crisi sociale. È un’Italia profondamente diversa da quella del 1961, la cui società politica e civile era in gran parte formata da persone cresciute secondo le antiche tradizioni italiane. In cui al centro vi era ancora la famiglia, il rispetto per le istituzioni,
l’amor di Patria. Tutti aspetti che ora come ora non fanno più parte dell’ideale dell’italiano
medio. È un’occasione mancata. La classe politica ancora una volta si è rivelata litigiosa, faziosa, priva di acume e di una visione prospettica. Tutta presa a utilizzare ogni cosa come strumento di scontro politico.
Spiace, addolora, notare come una festa bellissima come quella che celebra la nascita della nostra Italia come nazione venga calpestata in modo così poco intelligente”.

Dagli industriali che una festa non la vogliono perché implicherebbe la perdita di un giorno lavorativo a forze politiche che il Risorgimento lo vorrebbero mettere in discussione dall’inizio alla fine, le voci in contrasto con la nostra storia si fanno sempre più preoccupanti e numerose. Come invertire questa tendenza?

“Si tratta di un problema culturale. In questi ultimi sessant’anni è mancata completamente una guida, un punto di riferimento che potesse non solo rappresentare, ma stimolare il senso della Patria, la cultura, l’essere italiani. Non mi stupisco ma sorrido nel pensare alla posizione di Confindustria, che teme di perdere un giorno di lavoro. Mi indigno nel vedere le posizioni di molta classe politica avverse alle celebrazioni e al Risorgimento. Esiste un modo per invertire la tendenza?
Non lo so, ma ringrazio quanti si sono battuti per ottenere che il 17 marzo fosse dichiarata festa nazionale. In modo particolare il ministro Ignazio La Russa, che è una delle voci più autorevoli
pro celebrazioni. Credo che i grandi quotidiani d’Italia dovrebbero preparare una pubblicazione speciale e onesta da far uscire il 17 marzo. Forse servirebbe a tutti per imparare da dove proveniamo e chi si è battuto per la nostra Patria”.

Da Carlo Alberto a Vittorio Emanuele II, Casa Savoia il Risorgimento l’ha reso possibile.
E lo stesso vale per il conte di Cavour, uno statista la cui grandezza è riconosciuta più all’estero che all’interno dei confini nazionali. Tuttavia, salvo qualche nobile eccezione, il loro ruolo sembra sminuito, a vantaggio di una ricostruzione dei fatti in chiave esclusivamente repubblicana. Lei di
Casa Savoia è il capo, e non è nemmeno stato invitato a far parte del comitato d’onore delle
celebrazioni. Come interpreta questa esclusione?
E da discendente diretto del primo re d’Italia, come la sta vivendo?
“Non mi stupisce. È l’ennesima dimostrazione della mediocrità del sistema. Insomma, in qualsiasi stato repubblicano la casa reale di quello stato viene coinvolta a pieno titolo nelle manifestazioni ufficiali. Addirittura nei paesi ex sovietici guardi i tributi che sono riservati ai discendenti dei loro sovrani. In Russia hanno addirittura ripristinato i simboli della Casa imperiale nella bandiera nazionale. All’estero hanno capito che i simboli servono a tenere uniti e l’unione fa la forza. In
Italia Casa Savoia è senza dubbio ancor oggi un simbolo riconosciuto dalla maggioranza degli italiani: chi pro, chi contro, ma è riconosciuto.
Bene, hanno timore di questo simbolo? Forse sì, e questo spiegherebbe i si stematici attacchi
che subiamo per distruggere la nostra immagine. Ad ogni modo io sarò presente al Pantheon, il 17 marzo, per rendere omaggio al mio augusto avo re Vittorio Emanuele II.
È un mio dovere, ma anche un mio privilegio. Inoltre, Casa reale sta organizzando con l’Unione Sabauda una serie di eventi in tutto il territorio nazionale, tra cui il Ballo della Real Casa a Roma il 15 giugno prossimo”.

Per molti la tumulazione in forma solenne al Pantheon dei re e delle regine che ancora riposano in terra straniera costituisce non solo un atto dovuto, ma un’occasione per il nostro Paese di riflettere più serenamente sulla propria storia. Per altri, invece, è motivo per rinfocolare polemiche vecchie e nuove, spesso in modo becero o palesemente strumentale. Al di là dell’aspetto umano connesso
al dare una più consona sepoltura agli unici esiliati rimasti, con quali motivazioni cercherebbe di convincere i refrattari?

“Credo che la sepoltura al Pantheon di Roma dei re e delle regine d’Italia sepolti all’estero sarebbe un segno di riconciliazione e di rispetto verso la storia patria. Non si tratta di una cerimonia monarchica, si tratta di una cerimonia dello Stato verso due capi di stato e le loro consorti. Anche in Russia la famiglia imperiale e lo zar Nicola II hanno ricevuto sepoltura solenne e funerali di stato. Pensi, uno stato ex sovietico che ha trucidato le stesse persone a cui poi tributa i massimi onori per la sepoltura… E la stessa cosa è accaduta in altre nazioni. Direi che sarebbe un segno di rispetto
dello Stato verso la sua stessa storia. Un paese che non rispetta la propria storia non potrà mai avere un futuro”.

L’Italia si appresta a celebrare i suoi 150 di vita come Stato unitario nel pieno di una crisi non solo economica, ma anche politico istituzionale. Qual è il suo pensiero in proposito?
E come uscire da una situazione pesantissima che rischia di sfasciare quanto è stato costruito con tanti sacrifici personali e collettivi?

“Condivido il suo pensiero, ma non mi pare vi siano soluzioni immediate. Credo si tratti di un lungo percorso culturale, che dovrebbe rovesciare l’attuale rotta presa dall’Italia. Una rotta che ci porta a essere lo zimbello del mondo intero. Sarebbe necessaria una riforma profondissima, in grado di
coinvolgere tutte le istituzioni e i partiti. Vede, nel 1946 non hanno avuto alcuna remora a fare tabula rasa per costruire questa repubblica. Bisognerebbe avere il coraggio di fare una nuova tabula rasa per costruire l’Italia di domani, un’Italia in cui i valori del Risorgimento tornino a essere alla base dello Stato. Dove la famiglia, l’amor di Patria, il rispetto e la fratellanza siano il fulcro della nostra Patria”.

Tratto da : Movimento Monarchico Italiano - Numero Unico di Marzo 2011

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