Finalità di questo Blog

Lo scopo di questo Blog "150° Unità d'Italia" è quello di raccogliere tutte le informazioni relative all'evento, e denunciare il tentativo di strumentalizzare la Storia ai fini anti italiani, così come denunciare l'impegno Istituzionale nel far passare questo importante traguardo il più inosservato possibile.

venerdì 15 gennaio 2010

Non si può costruire uno spirito unitario con secoli di ritardo - Risposta

«Non si può costruire uno spirito unitario con secoli di ritardo»

Il Giornale.it - mercoledì 13 gennaio 2010

di Matteo Sacchi

l’articolo…

Romano Bracalini è un giornalista e uno storico molto attento alle vicende del nostro Paese. Nei suoi libri è riuscito a cogliere pensieri e costumi degli italiani (Otto milioni di biciclette - La vita degli italiani nel Ventennio; Paisà. Vita quotidiana nell’Italia liberata dagli alleati) dedicandosi anche, con cura meticolosa, alla ricostruzione del periodo risorgimentale (Cattaneo. Un federalista per l’Italia unita; Non rivedrò mai più Calatafimi; L’Italia prima dell’unità).

Sul tema «cosa vuol dire essere italiani?» ha idee molto chiare.

Esiste l’«italianità»? Un quid, un qualcosa che ci consente di identificarsi subito come popolo?

«Il fatto che il dibattito su questa questione si apra così tardi dà subito l’impressione che il dibattito venga fatto per correre ai ripari. Questa è già una risposta... In Francia e in Germania si discute di questi temi da moltissimo tempo ma nessuno si pone davvero il problema se esista o meno un’identità nazionale, è data per scontata».

Invece da noi manca un’identità?

«Secondo me un’identità italiana non esiste. Esiste un simulacro di identità. È un’evidenza storica che il nostro Paese ha raggiunto l’unità in un modo singolare e dopo quattordici secoli di divisioni. Anche la Germania si è unificata tardi ma con le sue forze, o meglio con quelle della Prussia, e con un progetto largamente condiviso... L’Italia è stata unificata da una monarchia mediocre, molto poco italiana, che si è mangiata l’Italia foglia a foglia, come un carciofo. Non sono le basi giuste per un comune sentire».

Ma allora che modello possiamo proporre a noi stessi e agli immigrati che arrivano nel nostro Paese?

«Altri Paesi come la Francia affrontano il problema da molto più tempo e nonostante tutto sono riusciti a non farselo sfuggire di mano. Qui da noi mi sembra evidente che lo Stato sia in grande difficoltà nel creare valori condivisi. E dovendo confrontarsi con il fenomeno dell’immigrazione i risultati sono evidenti».

Quello che è accaduto in Calabria?

«La situazione è precipitata perché lo Stato lì non esiste. Nel nord del Paese l’immigrazione ha un impatto diverso perché sono diverse le condizioni materiali e la presenza delle istituzioni».

Come si fa a ricostruire l’idea di nazione partendo da questi dati di fatto? Perché non è che, dopo centocinquant’anni, ci si può limitare a dire: beh ci siamo sbagliati...

«Bisogna prendere atto della morfologia del Paese, tenendo conto delle diversità. Noi abbiamo una lunghissima tradizione di pensiero regionalista che è rimasta sempre minoritaria e inascoltata. È quella la via da seguire. Bisogna creare il federalismo che non è per forza quello di marca leghista. Pensi a Cattaneo o alla lunga tradizione delle autonomie siciliane. Quello è il meglio della nostra storia... Non si possono mettere a posto le cose guardando, invece, sempre al peggio. Al centralismo, alla burocrazia...».

Ma si può fare uno Stato senza nazione?

«Gli svizzeri ci sono riusciti e piuttosto bene. E spesso il nazionalismo, soprattutto dove la nazione non c’è, si trasforma in un meccanismo pericoloso. Crispi capendo che l’unità nazionale era debolissima puntò sulle guerre d’Africa. E dopo è arrivato l’imperialismo straccione di Mussolini. L’otto settembre è stato il fallimento definitivo di quel tipo di patria e di quel tipo di unità... Oggi siamo ancora qui a raccoglierne i cocci. Senza contare che per lungo tempo la chiesa cattolica ha avuto le sue responsabilità nell’impedire la creazione di uno spirito nazionale e che dopo il ’45 il partito comunista non ha certo contribuito a rafforzare un ideale nazionale. Sino agli anni Ottanta il Pci aveva una sorta di patriottismo sociale ma sentiva l’Urss come la vera nazione di riferimento...».

Un luogo comune: gli italiani si sentono italiani solo e soltanto in odio a qualcun altro...

«È un retaggio del nostro antico spirito di fazione è quel “Dio stramaledica gli inglesi” con cui il fascismo ha dato il peggio di sé. È sottocultura, è provincialismo. Come diceva Cattaneo per amare la propria patria non c’è bisogno di disprezzare le altre. Spesso però in Italia per mancanza di altro ci si è attaccati a quel disprezzo»

la risposta…

Per fortuna, come dice Matteo Sacchi nel suo articolo, Romano Bracalini è un giornalista e uno storico molto attento alle vicende del nostro Paese. In caso contrario altrimenti, cosa avremmo dovuto leggere ?

Focalizziamo di questa intervista, i punti salienti del suo italico pensiero :

- Il Paese ha raggiunto l’unità in un modo singolare e dopo quattordici secoli di divisioni.

- L’Italia è stata unificata da una monarchia mediocre, molto poco italiana

- Crispi capendo che l’unità nazionale era debolissima puntò sulle guerre d’Africa. E dopo è arrivato l’imperialismo di Mussolini.

- Un’identità italiana non esiste

- Sembra evidente che lo Stato sia in grande difficoltà nel creare valori condivisi.

Cominciamo con il dire che in questa intervista non si registra nulla che già non sia stato detto, e che per essere dei giornalisti, queste ovvietà, le abbiamo divulgate anche male e con parecchie lacune. Sono insomma una serie di luoghi comuni che qualunque italiano cresciuto a domenica sportiva, Pippo Baudo e grande fratello poteva sciorinare nella metà del tempo e delle parole impiegate nell’articolo da Matteo Sacchi e dallo “storico” Brancalini. Veniamo ai punti…

L’Italia ha raggiunto l’unità dopo quattordici secoli di divisioni si asserisce nell’intervista. Sarà forse colpa degli italiani, se con la caduta dell’Impero Romano, il nostro territorio - di importanza strategica - è diventato l’ambito “premio” di ogni Imperatore in erba, e poi, di ogni potenza straniera fino a metà ottocento ?

Sarà forse l’ennesima colpa dei Savoia aver tentato con i mezzi a disposizione la sua riunificazione riuscendoci in poco più di vent’anni ?

Possiamo noi, figli di questa repubblica, giudicare ciò, quando siamo abituati a dover constatare che oggi, anche una semplice riforma della scuola pubblica, della giustizia o della sanità, richiede tempi biblici con esiti tutt’altro che scontati e positivi ?

L’Italia secondo costui però, è stata unificata da una Dinastia mediocre e poco italiana : Complimenti per l’originalità. In una righina stringata infatti, si è riusciti a comprimere fandonie infinite. Ragionando alla rovescia però, ci si rende conto di quanta demagogia pesi sul pensiero di questo “intellettuale”.

Torniamo all’Unificazione, poco più di vent’anni, per sconfiggere sul campo o con l’ausilio di intelligenti trattati ed alleanze, uno degli Imperi continentali più potenti al mondo. Non solo, ma questa Dinastia di mediocri, v’è riuscita sul filo di un cambiamento epocale, che vedeva l’evolversi delle società più avanzate dell’epoca, in Democrazie (con le buone o con le cattive) partendo da istituzioni assolutiste, che in molti casi, oltre al trono, persero anche la testa.

Aggiungerei, la raccolta del consenso. Questo, se non proprio assoluto e popolare, fu un processo importante ed innovativo, rivolto almeno a tutta quella classe di persone che avevano un’istruzione, o che avevano aperto nel nostro Paese la strada allo sviluppo sociale, industriale ed economico. Casa Savoia cioè, raccoglie il consenso dell’Italia che contava o che avrebbe voluto contare o contare di più. Questa forse è “mossa” più rivoluzionaria e riuscita dell’impresa.

L’Augusta Casa di Savoia insomma, può anche non esserci simpatica, ma non si può certo affermare che fosse una Dinastia di mediocri. Considerando che alle spalle aveva, un territorio non certo ricco, ed una popolazione esigua, l’impresa ha dello straordinario, ma tant’è, il doppio peso anti Savoia diffusissimo oggi, ci fa talvolta scrivere e dire asinate, come ad esempio quella di asserire che Casa Savoia non fosse italiana.

Casa Savoia infatti, fu la prima Dinastia in Italia a considerare ufficialmente la lingua italiana, lingua di Stato. Emanuele Filiberto Duca di Savoia, già nel 1562, trasferendo la capitale da Chambery a Torino, indico ai suoi eredi in modo chiaro, quale da allora sarebbe stata la strada da percorrere, decretando inoltre che tutti i documenti di Stato fossero da quel momento scritti o trascritti in lingua italiana. Il fatto ha importanza tale, che spronò il Torquato Tasso, a scrivere di Emanuele Filiberto Duca di Savoia, in buon Italiano: "il primo e più valoroso e glorioso Principe d’Italia".

Tutti i sovrani Savoia da allora hanno sempre parlato Italiano oltre alle altre lingue di maggior uso in uso in Europa, fedeli da allora alla loro vocazione italiana. Se i più “informati” ci ricordano che a corte, si parlava in francese, non staremo neppure a perdere il tempo a spiegare a questi individui, che non era un vezzo di Casa Savoia. Era infatti una necessità pratica della corte stessa, che vedeva convivere tra loro parenti di diverse nazionalità, e numerosi plenipotenziari, ambasciatori e ministri stranieri.

Ciò succedeva nelle Corti di tutti gli stati d'Italia, ed era normale anche all'estero. A San Pietroburgo a Corte si parlava Francese, così come alla Corte di Fedrico II di Prussia e in tanti altri grandi Paesi del tempo. La lingua internazionale del tempo infatti, era il Francese, utilizzata anche dagli ambasciatori Inglesi, fino a poco prima dell'ultima guerra !

Crispi puntò sulle colonie così come fece il Duce, per nascondere una debole Unità nazionale ? Possiamo dire e scrivere tutto quello che vogliamo in merito, anche stravolgere la verità. Chiediamo però al Sig. Brancalini di spiegarci come mai, tra gli emigranti italiani sparsi in tutto il mondo, quando si ebbe notizia che l’Italia era entrata in guerra nel maggio 1915, si fece a gara, per rientrare in Patria per arruolarsi volontari nell’Esercito italiano e combattere per la Patria. Se non vi fosse stato un sentimento di Unità forte o fortissimo, avremmo avuto lo stesso risultato ?

Ci spieghi questo fenomeno Sig. Brancalini dall’alto della sua illuminata conoscenza !

L’identità italiana non esiste asserisce Lei ?

Ma allora Napoleone era forse un cretino ? Fu lui a scrivere “ L’Italia è una sola nazione. L’unità dei costumi, della lingua, della letteratura dovrà finalmente, in un avvenire più o meno prossimo, riunire i suoi abitanti sotto un sol governo “ in esilio a Sant’Elena.

Ma abbiamo anche testimonianze recenti, anzi recentissime :

Sergio Romano, Ambasciatore, giornalista ed oggi opinionista per il Corriere della Sera, così scrive in data 4 febbraio 2002 : “Esiste un patriottismo che gli italiani non riescono a esprimere e che crea, per questa sua incapacità di uscire all’aperto, una specie di malessere nazionale. (…) le generazioni del dopoguerra sono state abituate a deridere i suoi simboli tradizionali (…) se qualcuno vuole la prova di questa patologia nazionale - un sentimento che non riesce a trovare né parole né simboli - dia un’occhiata alla bandiera sulla facciata dei palazzi pubblici (…) Non è una bandiera nazionale. E’ un drappo stinto, sporco, spesso stracciato. Lo hanno appeso a un’asta per obbedire a una disposizione ministeriale (...) nessuno si sognerebbe di salutare il “tricolore”, di ammainarlo al tramonto, di ripulirlo per le feste nazionali o di ripiegarlo religiosamente (…) Le sole bandiere che suscitano passione in Italia sono quelle delle contrade al Palio di Siena e delle squadre di calcio negli stadi (…) Ma “l’italianità” - una parola, ormai, pressoché impronunciabile – esiste (…)”

Il bravo Sergio Romano, dovendo dimostrare che l’Italianità è tuttavia presente nel popolo, non può evitare di lasciar cadere il “drappo stinto e sporco” (della repubblica) issato “dalle generazioni del dopoguerra” e ricordarsi di un’altra grande firma del giornalismo italiano, …Oriana Fallaci.

Questa Donna infatti in un suo articolo, che Sergio Romano dice essere stato “per molti lettori la scintilla di un corto circuito”, parla della Bandiera d’Italia scrivendo : “Io ho una bandiera bianca rossa e verde dell’Ottocento. Tutta piena di macchie, macchie di sangue, tutta rosa dai topi. E sebbene al centro vi sia lo Stemma Sabaudo (ma senza Cavour e senza Vittorio Emanuele II e senza Garibaldi che a quello Stemma si inchinò noi l’Unità d’Italia non l’avremmo fatta), me la tengo come l’oro. La custodisco come un gioiello” (Corriere della Sera del 29 settembre 2001).

Oriana Fallaci, che come Sergio Romano certo non può essere considerata persona di fede Monarchica (“sebbene al centro vi sia lo Stemma Sabaudo” ne è prova inconfutabile), non lesina critiche all’odierna repubblica, dichiarando nello stesso articolo : “Naturalmente la mia patria, la mia Italia, non è l’Italia d’oggi. L’Italia godereccia, furbetta, volgare (…) L’Italia cattiva, stupida, vigliacca, delle piccole iene che pur di stringere la mano a un divo o a una diva di Hollywood venderebbero la figlia a un bordello di Beirut (…) L’Italia squallida, imbelle, senz’anima, dei partiti presuntuosi e incapaci che non sanno né vincere né perdere però sanno come incollare i grassi posteriori dei loro rappresentanti alla poltroncina di deputato o di ministro o di sindaco (…) Non è nemmeno l’Italia dei giovani che avendo simili maestri affogano nell’ignoranza più scandalosa, nella superficialità più straziante, nel vuoto (...)”

Ora, Brancalini può anche tentare di ergersi al di sopra di Sergio Romano ed Oriana Fallaci, ma che possa credere d’avere un intelletto superiore a Napoleone Bonaparte, deve farci pensare assai…

Tirando le somme comunque il senso di italianità esisteva sicuramente nella popolazione, prima dell’ultima guerra. Oggi è in parte frustrato dalla repubblica “volgare e vigliacca” dei “grossi posteriori dei suoi rappresentanti incollati alla poltrona” rappresentati dal tricolore napoleonico “stinto e sporco”.

Evidente quindi, che lo Stato oggi, o meglio questa repubblica, dopo aver demolito tutto e tutti per interessi suoi e della sua classe dirigente sia in grande difficoltà nel creare valori condivisi.

Quale novità !

Oltre alla povertà di questo pensiero però, desideriamo denunciare anche la scarsa memoria del Sig. Brancalini. Che non sia uno storico, l’abbiamo appurato, …ma che un giornalista di “grido” non ricordi i fatti salienti di cronaca degli ultimi 5 anni è davvero incredibile…

Egli afferma “Altri Paesi come la Francia affrontano il problema da molto più tempo e nonostante tutto sono riusciti a non farselo sfuggire di mano. Qui da noi mi sembra evidente che lo Stato sia in grande difficoltà nel creare valori condivisi. E dovendo confrontarsi con il fenomeno dell’immigrazione i risultati sono evidenti”.

“Quello che è accaduto in Calabria ?” gli chiede il buon Matteo Sacchi, e Brancalini rincara la dose…

“La situazione è precipitata perché lo Stato lì non esiste. Nel nord del Paese l’immigrazione ha un impatto diverso perché sono diverse le condizioni materiali e la presenza delle istituzioni”.

Visto che il “giornalista” Brancalini cita quale esempio superiore all’Italia la Francia, per rinfrescargli la memoria rispolveriamo quanto successo a Parigi in merito al problema dell’immigrazione.

Nel novembre del 2005, abbiamo assistito a settimane di scontri e di battaglie campali nelle Beallieu alla periferia di Parigi tra la polizia e i residenti neri di queste “riserve”. Non stiamo parlando di paesini decentrati dove la presenza dello Stato può essere meno salda, stiamo parlando della Capitale francese Sig. Brancalini… ricorda ?

E’ chiaro che in Italia abbiamo oggi bisogno di imparare su questo argomento (immigrazione), ma sicuramente non dagli esempi citati da Lei. Questa mia sufficienza nei confronti della Francia, mi creda, non è odio generalizzato per i Paesi stranieri per sentirmi più solidamente italiano, è semplicemente buon senso.

Concludo ora, facendo appello a tutti gli italiani di buona volontà (che sono la quasi totale maggioranza nel nostro Paese) citando SM il Re Uberto II di Savoia… “Con la libertà tutto è possibile, senza libertà, tutto è perduto”.

Non perdiamo la libertà di pensare e ragionare almeno… sul nostro sentimento di italianità.

Non facciamoci influenzare dal disfattismo di questa repubblica, perché tutto sarà allora perduto. Fino ad allora infatti l’Unità della nostra Patria rimane un bene prezioso ed è pegno più tangibile di un nostro migliore futuro.

Siamone certi, consapevoli e liberi di crederci.

Alberto Conterio - 14.01.2010
Inviata a Vittorio Feltri Direttore de "Il Giornale" in data 15.01.2010